Strange Way of Life, recensione: Pedro Almodóvar duella con Sergio Leone e Jane Champion

Molto più di un “western con i cowboy gay”, il nuovo lavoro di Pedro Almodóvar è un gioco divertito, lussuoso, che prova ancora una volta la sua straordinaria maestria. La recensione.

di Elisa Giudici

Anche quando gioca per puro divertimento, il 73enne Pedro Almodóvar rimane il grande fuoriclasse che è. Tanto che si rimane quasi irritati di fronte al repentino finale di Strange Way of Life, il suo cortometraggio di 30 minuti presentato come la risposta a i segreti di Brokeback Mountain.

Lunga storia breve: prima che Ang Lee girasse il più celebre “film con i cowboy gay”, Pedro Almodóvar aveva accarezzato più volte, più o meno pubblicamente, l’idea di adattare il medesimo testo in un film che segnasse il suo esordio in lingua inglese. Era da poco passato il 2000, Pedro Almodóvar era già un nome importante a livello internazionale, coperto di onori e di Oscar, corteggiato dalle major per farlo esplodere definitivamente a Hollywood.

Non se n’è fatto nulla, ma a Pedro Almodóvar è rimasto il sassolino nella scarpa. Passano 20 anni, lui rimane un grande nome spagnolo e internazionale del cinema, che ha passato momenti bui e ha regalato film medi, buoni, ottimi. Nel 2023 è un nome amato, riverito, coccolatissimo.


Tanto che si fanno avanti prima Chanel e poi Yves Saint Laurent per finanziargli due corti. The Human Voice l’abbiamo visto in una Venezia rallentata dal Covid ed è persino uscito in sala, pur durando meno di un’ora. Strange Way of Life, non impicciato dalle restrizioni della pandemia, girato nella cittadina spagnola di Almeria, è ancora meglio.

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Di cosa parla Strange Way of Life

Strange Way of Life racconta la storia di un incontro tra due amanti di vecchia data. Dopo due mesi di follie amorose in Messico, i giovani pistoleri Silva (Pedro Pascal) e Jake (Ethan Hawke) si separano. Vent’anni più tardi Silva appare all’improvviso nella città di cui Jake è diventato sceriffo, alla ricerca di un medico per curare la sua schiena malandata.

Il nuovo incontro tra i due fa emergere molto presto sia questioni non risolte dal passato, sia un’inestinguibile passioneancora presente tra i due ex pistoleri su commissione. La realtà di frontiera è però complessa, Jake è rigido nelle sue convinzioni e nelle sue promesse da mantenere, Silva ha un figlio da proteggere ed è geloso per un sospetto di tradimento mai confermato o smentito.

Tra i due si staglia poi l’ombra di un omicidio che potrebbe separarli per sempre, ma anche una domanda rimasta senza risposta: cosa potrebbero fare due cowboy che vivono insieme in un ranch, lontano da tutto e da tutti?

Cosa funziona e cosa no in Strange Way of Life

Rimaniamo brutalmente onesti: Strange Way of Life è poco più di un divertissement per il suo regista e un’ottima operazione commerciale per lo stilista Anthony Vaccarello, che firma i costumi del film, a partire dalla strepitosa giacca verde indossata da Pedro Pascal (citazione di Là dove scende il fiume di Anthony Mann).

Non è poi così sbagliato definirlo un western in drag e l’operazione potrebbe irritare alcuni. Si entra in sala pensando di vedere Sergio Leone, John Ford o un nuovo western alla maniera di Jane Champion con Il potere del cane, mentre si rimane intrappolati in un film di frontiera sì, ma alla Alfred Hitchcock.

Il film di Champion con protagonista Benedict Cumberbatch deve aver parecchio irritato Pedro Almodóvar, che lo cita in conferenza stampa per la sua mancanza di sesso e sensualità. Doveva essere la risposta da Brokeback Mountain, eppure Strange Way of Life sembra quasi muoversi in risposta al vizietto hollywoodiano di ricercare una sensualità di fondo senza mai mostrare nulla.

Non è una questione di centimetri di pelle nuda o di “scopate del secolo” alla Paul Verhoeven, anche se Pedro Almodóvar in passato non ha lesinato né gli uni né le altre. Anzi, qui gli si potrebbe dire che predica bene ma razzola male, dato che i protagonisti Jack e Silva celebrano il loro incontro a 20 anni dal precedente dopo molti bicchieri di vino e una sfumata in nero.

Cavilli contrattuali che quando hai come protagonisti Ethan Hawke e Pedro Pascal non puoi evitare, nemmeno se ti chiami Pedro Almodóvar? Forse sì, ma l’impressione è che sia lo stesso regista a mettersi un freno, un po’ per evitare la parodia di sé stesso, un po’ perché l’erotismo è un muscolo cinematografico e qui Pedro Almodóvar dimostra che anche due cowboy attempati che mangiano uno stufato possono risultare erotici.

A stupire, come sempre, è la qualità di scrittore e narratore per immagini che Pedro Almodóvar dimostra. Basta una cena tra i protagonisti, l’intrico di detti e non detti nella conversazione tra i due a tavola, per costruire una storia fatta di pochi elementi ma ricca di contrasti.

Silva e Jake sono personaggi agli antipodi, ma spinti da contraddizioni e desideri simili. Pedro Almodóvar non ha bisogno di altro. Non omaggia il western ma lo possiede, appunto, realizzandone una sua versione unica e riuscita.

In mezz’ora affronta una serie di sequenze classiche del genere: dallo stallo alla messicana all’acquisto di una bara, passando per sparatorie e ranch isolati. Non manca nemmeno il cespuglio secco che rotola.

Tutti questi strumenti lisi in mano ad Almodovar diventano attrezzi scintillanti per creare un thriller alla Hitchcock di passioni alluse ma consumate solo nella vergogna alcolica, di sentimenti puri e sinistri secondi fini da esplorare. Ethan Hawke e Pedro Pascal si abbandonano con grande fiducia ad Almodovar, prestandosi alla sua visione e alle sue ossessioni. Pascal si lascia inquadrare languidamente il lato b mentre scende da cavallo, perché poi Almodovar gli mette in mano un personaggio perfetto per sfruttare quell’aria sensibile ed empatica che ha su grande schermo.

Il migliore però è Ethan Hawke, uno che da anni non sbaglia un ruolo e che, da Schrader ad Almodóvar, riesce a dare a ciascuno il tormento interiore e le rigidità morali richieste.

Andrà a finire come a Venezia con The Human Voice: mezz’ora di corto almodovariano darà filo da torcere a lungometraggi in concorso di stimati colleghi, spiccando nel mucchio. Nella speranza che sia solo l’inizio di qualcosa di più ambizioso e completo.