Resident Evil 5

di Pietro Puddu
La corposa versione d'anteprima in mano a Gamesurf non ha fatto che confermare le impressioni suscitate dalle dimostrazioni filmate prima e dalla demo giocabile poi; Resident Evil 5 sembra stare all'illustre predecessore più o meno come il secondo ed il terzo capitolo stettero all'originale.
Reprise che non espande la formula in alcuna direzione ma ne ricalca i tratti principali, sotto un rinnovato contesto visuale e attraverso un ulteriore spunto narrativo. Dalla Spagna rurale all'Africa il passo é relativamente breve, per un'assonanza di conformazione e caratterizzazione degli ambienti e dei loro abitanti, ma comporta subito un prima discontinuità, introdotta dal nuovo sistema di illuminazione; specie nell'incipit, l'incubo non é mai stato così assolato, con un lens flare che buca le foglie delle palme e i tetti sconnessi delle casupole, il contrasto con le regioni ombrose accentuato da un hdr che lascia ciechi per un istante quando si varcano gli interni.



La luce delinea in un malessere giallo-verde favelas e palafitte fluviali, avvolgendole in tinte sinistre che rassicureranno le paure di un clima troppo arioso ed estroverso prima ancora che ci si infili in qualche sottopassaggio umido infestato dai ratti. L'immagine, tersa e definita, senza quegli abusi di sfocamento o di rumore video a cui spesso si delega l'enfatizzazione delle atmosfere, valorizza il fine dettaglio poligonale tanto dell'architettura negli scorci d'insieme quanto dei modelli nelle riprese ravvicinate; l'elevato valore produttivo traspare nella qualità della grafica come nella varietà della stessa, testimoniata dalla successione incalzante di attrazioni durante le circa sei ore di gameplay trascorse.

Rimanendo sulla forma, il grado di interattività é nella media attuale, non spingendosi oltre qualche crollo di prefabbricati (le cui macerie svaniscono in breve), arredamenti frangibili e un'effettiva collisione tra i corpi e le pareti; i protagonisti, bardati di equipaggiamento e copiosamente animati, sono statuari e dalla presenza scenica invidiabile, facendo sfoggio d'un lavoro di palestra concentrato per l'uno sui tricipiti (persino troppo) e per l'altra sui glutei (non ci si può lamentare); i nemici dal canto loro soffrono ancora il rapporto tra numero e forte riconoscibilità degli stessi tratti somatici ripetuti, cosa che non impedisce di notare le nuove sfumature e limature apportate nel complesso alle loro movenze ed espressioni.

Per quanto riguarda invece i contenuti della rappresentazione, l'azzardo biologico techno-fantasy che traspare nelle sembianze del bestiario e muove i minacciosi antropomorfi dovrebbe almeno stemperare il rischio di recriminazioni legate a temi razziali; se la presenza della partner dalla pelle scura che combatte la medesima battaglia di Chris Redfield non dovesse bastare, le cut-scene e le mutazioni anatomiche svelate dagli attacchi del folken mostrano chiara e tonda l'origine parassitaria dell'aggressività e dell'alienazione indigena. D'altro canto, la tradizione Capcom ignora qualsiasi tipo di connotazione politico-sociale, tantomeno sottintesa, in funzione del mero senso estetico, che raggiunge il picco in intermezzi sontuosi e ben diretti.